lunedì 23 aprile 2012

SCHEDA DI LETTURA DI UN'OPERA D'ARTE : LA PRIMAVERA DI BOTTICELLI



















1. Scheda informativa dell’opera

Autore: Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi, Firenze1445-1510)

Titolo: La Primavera

Datazione:1478 circa

Dimensioni: 203x314 cm

Collocazione (provenienza e sede attuale):Palazzo di via Larga - Galleria degli Uffizi, Firenze

Tecnica e materiali: tempera su tavola

Genere: mitologico

2. Lettura descrittiva 

L'opera rappresenta nove figure allineate; ai lati della composizione, due figure maschili una nell'atto di disperdere le nubi con un caduceo, un bastone levato verso l'alto, l'altra, sui toni del blu, nell'atto di 'rapire' una donna vestita di veli. Centralmente sono poste le sei figure femminili ed un putto alato che scaglia frecce, al di sopra della donna leggermente arretrata ed isolata rispetto alle altre.

Indossano abiti e panneggi molto leggeri, velati nel caso delle tre donne che danzano leggiadre in tondo, ricco di fiori per la donna che sembra avanzare verso lo spettatore a regalare i fiori che tiene in grembo, arricchito con un manto rosso e blu quello della figura centrale che propone la stessa cromia del mantello dell'uomo sulla sinistra che veste particolari calzari ed una spada in vita.

Le figure sono immerse nel verde, poggiano leggiadre su un meraviglioso prato fiorito in cui si contano una moltitudine di fiori disegnati minuziosamente e si stagliano davanti ad un fitto bosco in cui si riconoscono piante di agrumi con frutti e rami di alloro.

Tra gli alberi squarci di cielo azzurro che fanno risaltare l'oscurità della vegetazione.

3. Lettura interpretativa 

L'opera di Botticelli è la più celebre allegoria mitologica del Quattrocento in cui le figure incarnano quindi idee e concetti astratti sui quali gli storici da sempre si interrogano.

La sequenza dei personaggi è comunque accertata e si articola in due blocchi da leggere da destra verso sinistra (probabilmente la collocazione originale imponeva questo tipo di visione). A destra Zefiro, il vento della primavera che, con le gote gonfie, cinge la ninfa Cloris che tenta di sfuggirgli invano; la prenderà in sposa e la ninfa si trasformerà in Flora, la dea generatrice di fiori, rappresentata nella figura seguente con una veste ricamata di corolle primaverili mentre sparge fiori dal grembo.

Leggermente più arretrata è la figura posta sotto un arco di fronde che sembrano intagliate nel cielo, Venere (dea della bellezza e dell'amore) che tende la mano verso le tre fanciulle che danzano coperte di veli trasparenti, le Grazie, legate al culto della bellezza, della natura e della vegetazione. Dall'alto Cupido, figlio di Venere e dio dell'amore, scocca uno dei suoi strali infuocati.

Chiude il gruppo, voltato di spalle, Mercurio riconoscibile dai calzari alati e dal caducèo (il bastone) che tiene alto con il braccio destro nell'atto di dissipare (o indicare) le nuvole.

Individuare le figure iconografiche però non rende chiara ed esaustiva l'interpretazione complessiva del dipinto e capire il collegamento esistente tra di esse è stato compito di molti studiosi tra cui Aby Warburg, il primo a metterle in relazione con la filosofia Neoplatonica e a risolvere il problema delle fonti letterarie dell'opera rinvenendo testi e stralci, da Ovidio a Poliziano, in cui sono presenti i personaggi del dipinto.L'opera, secondo Warburg, tratterebbe la rappresentazione di Venere che, dopo la nascita, si reca nel suo 'regno' tra le figure mitologiche ad essa associate.

Altre interpretazioni di tipo filosofico sono quelle di Ernst Gombrich, successivamente rivedute e ampliate da Edgard Wind e Erwin Panofsky, nelle quali l'attenzione si concentra sulla Venere come allegoria di Humanitas ovvero di educazione umanistica e su una lettera che il filosofo Marsilio Ficino aveva scritto al committente dell'opera Lorenzo di Pierfrancesco dè Medici, augurandogli di raggiungere, attraverso l'amore, il mondo spirituale.

Panofsky legge l'opera come una sorta di lezione morale con intento pedagogico per il giovane committente prossimo alle nozze della differenza tra l'amore carnale (Nascita di Venere) e l'amore spirituale (Primavera), ricordando i diversi tipi di amore del Neoplatonismo e la contrapposizione quindi tra Venere celeste e terrena.

Wind va oltre affermando che lo spettatore non è davanti ad una modificazione della natura ma la fase iniziale della metamorfosi dell'amore in cui Venere, fulcro della composizione, riesce a conciliare castità (Flora), voluttà (Zefiro) e bellezza (le Grazie); Zefiro e Mercurio figurerebbero rispettivamente come due fasi di un unico procedere: ciò che scende sulla terra come emanazione della passione, torna nella sfera della pura contemplazione. Anche la stessa danza delle grazie esprime la dialettica dell'amore tra castità, volutta e bellezza (i nomi delle Grazie) determinata da opposizione e riconciliazione. In sostanza, l’amore sensuale (Zefiro e Clori) che, presente Venere e intermedianti le Grazie, si trasfigura nell’amore divino (Mercurio).

Altre esegesi invece rincorrono il filone storico, riconoscendo soggetti realmente esistiti nella Firenze dell'epoca sotto i panni di figure mitologiche in una vera e propria celebrazione di questi personaggi e delle loro virtù, cercando di sfuggire ad una grande crisi economica e politica idealizzando una mitica età dell'opera, un paradiso umanistico retto dalle leggi dell'armonia universale.

4.La struttura espressiva: aspetti formali e stilistici

Il fulcro della composizione è sicuramente Venere, figura centrale dalla quale si articolano due blocchi di figure: Flora e Zefiro a destra e le Grazie e Mercurio a sinistra.

Tutte le figure sono collegate da un andamento sinuoso della linea che, tra brusche accelerazioni e stasi, trova il suo equilibrio su Venere, incorniciata dall'incurvarsi dei rami che creano una nicchia verde intorno alla dea.

La linea, il contorno che disegna le forme, l'elemento essenziale della pittura fiorentina è lo strumento con il quale l'artista si esprime; è morbida e sinuosa quando disegna le vesti trasparenti, le mani allacciate delle Grazie o anima le movenze della ninfa e di Zefiro, più concisa  e nitida nel definire la staticità di figure come venere e Mercurio. I volumi sono appena accennati dalle ombreggiature e dai contorni, le forme spiccano velatamente sul fondo scuro, in una spazialità piatta, priva di profondità prospettica

La luce non ha una fonte precisa ma è diffusa ed uniforme tale da staccare le figure dallo sfondo e mettere in evidenza alcuni dettagli quali le vesti e i fiori; astratta e irreale tanto da non lasciare alcuna ombra riportata sul prato.

I colori appaiono chiari e luminosi sullo sfondo scuro omogeneo del prato e del fogliame; il colore eburneo dei corpi, il candore delle vesti femminili ed i rossi dei manti di venere e mercurio contrastano sullo sfondo e donano eternità alla scena.

5. I riferimenti

L’opera viene composta dal pittore nel periodo fiorentino successivo alla permanenza di Roma; Botticelli ha il compito di interpretare la cultura neoplatonica illustrando le favole antiche e i miti nel tempo e lo fa con uno stile tutto suo che lascia trasparire le teorie condivise dell'Accademia neoplatonica e probabilmente anche alcuni riferimenti al matrimonio del committente Lorenzo di Pierfrancesco dè Medici, cugino di Lorenzo il magnifico e allievo di Marsilio Ficino.

Lo stile di Botticelli deriva dagli insegnamenti di Filippo Lippi per l'uso della linea di contorno e  il disegno alla ricerca della bellezza ideale e dell'armonia universale; la sua attenzione si concentra sulla descrizione delle figure e dei fiori, studiati minuziosamente nei dettagli dal vero, sull'esempio di Leonardo da Vinci già artista affermato in quell'epoca ma non cura allo stesso modo lo sfondo, privo di profondità prospettica.

Con assoluta originalità espressiva si distacca dai temi tecnici della prospettiva in uso a quei tempi come a voler sottolineare e condividere la crisi degli ideali prospettici del primo Quattrocento che ebbe proprio il culmine in epoca savonaroliana, pochi anni dopo, e sviluppo successivo nel 1500, attraverso una maggiore libertà di inserimento delle figure nello spazio.

6. Interpretazione personale sugli effetti che l'opera così analizzata suscita nello spettatore.